Halloween è alle porte: ma perché i dolci fanno bene all’umore?

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Torte, gelati, ciambelle in una vetrina di una pasticceria, specialmente in questi giorni legati a Halloween. Che tentazione! A volte pensiamo che ciò che ci induce a desiderare un certo tipo di cibo è la sua presenza nell’ambiente che ci circonda. La semplice vista è uno stimolo che determina naturalmente una risposta fisiologica: basta vedere un dolce per sperimentare un aumento involontario della salivazione e del desiderio di cibo, una sensazione peraltro particolarmente forte per chi è a dieta.

Ma in realtà, spiega Federica Faustini, psicologa e psicoterapeuta del centro B-Woman, uno degli elementi che più di altri ci induce ad abbondare ad esempio con i dolci o con alcuni tipi di cibo è il loro effetto gratificante. “La gratificazione e il piacere associati all’alimentazione – spiega – derivano da una complessa interazione di fattori biologici. Per esempio l’assunzione di cibo, specialmente di dolci, sembra stimolare il circuito di ricompensa dopaminergico mesolimbico/mesocorticale, gli stessi sistemi stimolanti delle sostanze stupefacenti; ancora, ci sono motivazioni cognitive, come l’aspettativa positiva delle conseguenze dell’alimentazione) ed emotivi, per esempio la consapevolezza delle conseguenze positive ed emotive di mangiare un dolce. E fin qui il problema non si pone: concederci ogni tanto un dolce non crea alcun danno. Il problema – continua la psicologa – è che alcune persone tendono ad usare il cibo come mezzo di gratificazione esclusivo o predominante e che questo comportamento potrebbe rappresentare un rischio per la nostra salute”.

Per illustrare meglio il concetto di conseguenze positive, basti pensare a come ci comportiamo ogni giorno: ogni azione nella nostra vita produce determinate conseguenze. Se la conseguenza è positiva, tendiamo a ripetere lo stesso comportamento (vado sempre in quel ristorante, perché mi piace il cibo e mi servono grandi porzioni), mentre se la conseguenza è negativa tendiamo ad evitare il comportamento (non bevo caffè perché mi provoca acidità di stomaco). Questo processo, chiamato ‘condizionamento operante’ si basa sul concetto di rinforzo, che può essere positivo o negativo:

Rinforzo positivo: si verifica quando un comportamento produce gratificazione o una risposta soggettiva positiva (per esempio mi sento soddisfatto quando mangio il cibo che mi piace) e aumenta la probabilità che lo stesso comportamento si ripeta nel tempo alla ricerca della stessa gratificazione.

Rinforzo negativo: si verifica quando si mette in atto un comportamento per uscire da un’emozione spiacevole o per eliminare un’emozione negativa (se mangio qualcosa non sarò cosi arrabbiato.)

Questo è il caso di quando la fame, da fisiologica, diventa emotiva. Sfruttiamo il cibo come valvola di sfogo al fine di sentirci meglio: di fatto, mangiando colmiamo le nostre esigenze o vuoti emotivi. “Questo è normale che a volte succeda – assicura la d.ssa Faustini – ma quando il cibo diventa il nostro meccanismo primario di chiusura emotiva, è lì che nasce un problema. Ogni volta che ci sentiamo annoiati, arrabbiati, sconvolti, soli o esausti e il primo impulso è quello di aprire il frigorifero si va a creare un circolo vizioso dove il vero problema non viene mai affrontato o risolto, ma anzi viene spostato nel tempo creando spesso anche un vissuto di colpa per aver consumato una quantità eccessiva di calorie o per esserci sentiti mali. Naturalmente esistono strategie e terapie per risolvere questo circolo vizioso, nei casi in cui sia necessario intervenire per spezzarlo.

Ma in questi giorni di festa, auguro di godersi serenamente tutti i ‘dolcetti’ che si desiderano“.


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