Come vivono i figli di madri single concepiti con donazione di gameti il fatto di non conoscere l’identità del loro papà?
Qual è il modo migliore per rispondere alle loro domande?
“Su questo aspetto – spiegano le Dr.sse Valentina Berruti e Federica Faustini psicologhe e psicoterapeute del centro B-Woman – sono stati effettuati diversi studi, come il Jadva, Badger, Morrisette et al. 2009: Mattes (1997), effettuato su un gruppo di madri single con figli tra i 4 e gli 8 anni. Queste donne hanno riferito che i figli hanno cominciato a fare domande tra i 2 o 3 anni di età”.
Ecco alcuni esempi riportati: “Quando aveva 2 anni e mezzo lei mi diceva: “tutti hanno un papà, una mamma, e io invece no. Io le ho detto: va bene così”. Oppure “quando aveva 3 anni mi chiede: Mamma perchè non ho un papà? E io mi limito a fargli il ripasso di tutte le persone che ha”.
“Per comprendere a fondo queste domande – evidenzia la Dr.ssa Berruti – dobbiamo innanzitutto capire chi sono le donne che decidono di fare un figlio da sole. Dalle ricerche in merito (Murray e Golombok, 2005a) emerge che:
- in Italia la scelta di avere un figlio da sola si scontra con il pregiudizio che è sostenuto dalla legge 40/2004 che non permette a queste donne di accedere alle tecniche di fecondazione assistita e quindi devono necessariamente andare all’estero (i paesi più richiesti sono la Spagna, la Grecia, il Belgio, l’Inghilterra e la Danimarca);
- madri single per scelta sono, in genere, anche se non sempre, professioniste istruite in una condizione di sicurezza economica che diventano madri tra la fine dei 30 e l’inizio dei 40 anni;
- donne che non lo fanno a cuor leggero, ma perchè non hanno trovato un partner con cui condividere un progetto genitoriale;
- donne che hanno superato la quarantina e quindi si trovano spesso ad affrontare il lutto per non aver trovato un compagno e il lutto per l’infertilità;
- donne che spesso non hanno un sostegno emotivo familiare;
- donne che si preoccupano per la mancanza di un padre e cercano tra amici e parenti degli uomini che possano fornire un modello maschile ai loro figli”.
“Non possiamo dire che nascere in famiglie monogenitoriali sia predittivo di un minore benessere psicoemotivo – precisa la Dr.ssa Berruti – ma è indubbio che è necessario fare maggiore ricerca in Italia dove, seppur le tecniche di fecondazione assistita non sono permesse alle donne single , di fatto esistono questo tipo di famiglie e credo che come operatori della salute sia importantissimo aprirsi a nuove indagini in tal senso”.
Come possiamo aiutare queste donne?
“Il primo passo nel viaggio di una donna per diventare una mamma single è chiedersi ‘Cosa significa esserlo?'”, dice la Dr.ssa Faustini: “è qui che la ricerca, la preparazione e l’accesso a tutte le risorse disponibili, come ad esempio i gruppi su Facebook, hanno un ruolo importante. Altrettanto importante è il supporto psicologico che aiuta ad esplorare il proprio desiderio genitoriale, a realizzare tutte le possibili implicazioni di questo tipo di trattamento per la fertilità, offrendo strumenti utili per compiere questa scelta in modo consapevole. Fondamentale è usufruire di un supporto anche dopo la nascita del bambino. È importante riconoscere che le donne – che in modo coraggioso e fiducioso decidono di abbracciare questa scelta – non solo avranno un figlio, ma anche una persona che avrà dei pensieri, dei sentimenti e delle domande rispetto al proprio concepimento e alla mancanza di una figura paterna. Questo implica un altro aspetto fondamentale sul quale costruire un pensiero già durante la fase della scelta ed ha a che fare con la narrazione delle origini: cosa racconterò a mio figlio? Quando è opportuno farlo e in che modo?” Anche in questo caso – concludono le psicologhe – l’accompagnamento psicologico, la partecipazione a seminari (al momento fruibili solo all’estero) possono rappresentare un’ottima risorsa di cui disporre”.