Molte coppie diventate genitori con la donazione di gameti, hanno paura di raccontare al proprio bambino la natura del suo concepimento, temono che dire la verità possa essere deleterio per lui, per la costruzione della sua identità e che possa compromettere il suo legame con il genitore non genetico.
E’ chiaro che una simile decisione sia del tutto personale, non siamo di certo noi clinici a spingere i genitori in una direzione o in un’altra. Quello che però facciamo è di aiutarli a far sì che qualunque cosa decidano di fare, avvenga con consapevolezza.
La scelta di mantenere il segreto
Quindi è importante che la decisione di mantenere il segreto sia sostenuta da motivazioni valide e questo richiede un atteggiamento di totale onestà da parte della coppia: è chiaro che non bisogna usare la preoccupazione che il bambino possa essere confuso o sconvolto dalla notizia come una scusa per coprire ansie e paure che in realtà appartengono solo ai genitori e non hanno niente a che vedere con il figlio e con il suo bene. A volte poi il silenzio sembra essere la strada più facile, ma non è detto che lo sia, ne tantomeno è detto che un segreto rimanga tale per sempre: c’è sempre il rischio che i figli lo scoprano accidentalmente e questo è chiaro che porterebbe a delle conseguenze sia sulla fiducia riposta nei propri genitori, sia sul proprio senso di identità, come se quello che si è sempre pensato di sapere su se stessi, fosse in realtà una menzogna.
La scelta di parlare
Ci sono poi delle coppie che sono a favore della divulgazione e vorrebbero condividere l’informazione con il proprio figlio, perché lo considerano un suo diritto, desiderano un clima di apertura e trasparenza all’interno della propria famiglia e perché ritengono che il segreto possa rappresentare una macchia scusa nella sua identità, solo che hanno dei dubbi su come e quando farlo.
I consigli su quando e come comunicare al proprio bambino che è nato da eterologa
Io consiglio di farlo presto, in un’età in cui il bambino non ricorderà neppure che c’è stato un momento in cui non sapeva, ma considererà la donazione semplicemente come un aspetto normale della sua storia. Un buon momento può essere a quattro anni quando si rendono conto che non sono sempre esistiti ma che sono stati creati, con un linguaggio chiaramente adatto all’età, sarà importante quindi parlare di donatore per indicare la persona che ha donato il seme o gli ovociti che hanno consentito a qualcun altro di avere un figlio, un esempio di storia per un bambino cosi piccolo può essere la seguente: “per fare un bambino ci vogliono l’ovetto di una mamma e il semino di un papà, l’ovetto della mamma era rotto e quindi una signora gentile che si chiama donatrice le ha regalato il suo, non abbiamo mai incontrato la signora che ci ha regalato il suo ovetto, non la conosciamo e non vivrà con noi, ma lei siamo grati, perché ci ha permesso di averti”.
E’ chiaro che poi il racconto non si esaurirà in una volta sola, ma deve essere visto come un percorso che si svolge man mano che il bambino cresce. Generalmente i bambini reagiscono con curiosità o scarso interesse. Aspettare che il bambino sia più grande, può rendere il processo più difficile, soprattutto se ci avviciniamo all’età adolescenziale, che è un’età di per se particolare, in questi casi, potrebbe accadere che i ragazzi si sentano confusi e alcuni anche arrabbiati con i propri genitori, poiché non gli è stato detto prima.