Uno studio dell’università di Cambridge conferma che non avere un legame biologico non influisce negativamente sulla relazione con i genitori.
Pochi giorni fa è stata pubblicata la settima fase di un importante studio longitudinale sulle famiglie nate da donazione di gameti e da maternità surrogata condotto dal gruppo di ricerca della Professoressa Susan Golombok, dell’università di Cambridge (Gb).
L’obiettivo era quello di indagare se i bambini nati attraverso la riproduzione da terzi avesse avuto problemi psicologici, o difficoltà nel rapporto con la madre, in prima età adulta. Ed è stato approfondito l’impatto della divulgazione delle loro origini biologiche, oltre alla qualità delle relazioni madre-bambino dagli 1 ai 20 anni.
Le prime sei fasi di questo studio che coinvolgeva famiglie nate da donazione con bambini dagli uno a i 14 anni, rappresentava una risposta al presupposto teorico che considera la parentela genetica, o la sua assenza, tra genitori e figli come un fattore che, nel corso delle generazioni, influenza l’ammontare dell’investimento dei genitori fatto in ogni bambino.
Contrariamente all’ipotesi che le famiglie ricorse alla riproduzione assistita mostrerebbero maggiori difficoltà quando i bambini hanno raggiunto l’età adulta, specialmente quelli creati dalla donazione di ovuli e sperma, i risultati di tutti questi studi non hanno mostrato differenze tra queste famiglie e quelle che hanno concepito naturalmente, in termini di ansia o depressione materna, o nella qualità di rapporti delle madri con i loro partner. Cosa ancora più importante, non sono state riscontrate differenze in relazione all’accettazione materna dei propri figli, né differenze sulla qualità dei rapporti familiari. Per quanto riguarda i giovani di 20 anni, non sono state riscontrate differenze nella loro percezioni di accettazione materna, o nella qualità delle relazioni familiari, secondo il tipo di famiglia. Per quanto riguarda l’adattamento psicologico, non sono state identificate differenze tra i tipi di famiglia.
Nel complesso, quindi, l’assenza di una connessione biologica tra i bambini e i loro genitori non ha un effetto negativo sulla qualità di relazioni madre-bambino, o sull’adattamento psicologico dei bambini, anche quando hanno acquisito una comprensione adulta di cosa significa mancare di una connessione genetica e/o gestazionale con i loro genitori.
“Le preoccupazioni che sono state sollevate sulle conseguenze psicologiche della riproduzione assistita da parte di terzi – nota la d.ssa Federica Faustini, psicologa e psicoterapeuta responsabile dell’area Psicologia del centro B-Woman – non sono stati confermati dai risultati di questo studio quando il i bambini hanno raggiunto l’età adulta. Al contrario, i dati suggeriscono che l’assenza di una connessione biologica tra bambini e genitori nelle famiglie di procreazione assistita non interferisce con lo sviluppo positivo madre-bambino relazioni o adattamento psicologico in età adulta”.
“Un altro dato interessante emerso – prosegue – riguarda la narrazione delle origini: la scoperta delle circostanze della loro nascita prima dei 7 anni (in media attorno ai 4 anni di età) – provocava relazioni meno negative con le madri all’età di 20 anni rispetto a quelli raccontati dopo i 7 anni. Dati coerenti con le fasi precedenti dello studio (Golombok, 2021), che aggiunge ulteriore peso alla conclusione che prima i bambini nati attraverso la riproduzione assistita da parte di terzi vengono informati delle loro origini biologiche, migliori saranno i risultati in termini di qualità di rapporti madre-bambino”.