La fecondazione assistita con donazione di gameti è una tecnica che permette alle coppie infertili di poter utilizzare dei donatori per coronare il sogno di avere dei figli propri.
“È molto comune identificarla come fecondazione eterologa – spiega la psicologa e psicoterapeuta del centro B-Woman Valentina Berruti – anche se il termine non è corretto in quanto indicherebbe una fecondazione tra specie diverse. Il termine è però di uso comune e accettato dalla maggior parte dell’opinione pubblica. In Italia è legale dal 2014 e questo, da un punto di vista psicologico, è un tempo brevissimo per considerare questa pratica medica come conosciuta, riconosciuta e accolta tranquillamente dalla maggior parte delle persone. Questa informazione è fondamentale per capire il contesto in cui nascono questi nuovi legami familiari”.
Ma chi sono i genitori e i figli che nascono con questa tecnica? Analizziamo prima i genitori.
“Per quanto riguarda i genitori – specifica la psicologa – va detto che provengono spesso da anni di tentativi di fecondazione assistita. Sono persone che hanno affrontato il lutto per l’infertilità e che poi hanno dovuto decidere se affrontare un altro lutto, ovvero quello relativo alla mancanza del legame genetico. Per molti superare questo tipo di limite può essere molto difficile, soprattutto all’interno di un sistema culturale, come quello italiano, dove il legame di sangue è rivestito di particolari significati che hanno importanza per il valore personale che gli viene attribuito, ma non hanno nulla a che vedere con quello che realmente significa essere genitori dal punto di vista psicologico. La genitorialità è, infatti, una funzione che si esplica prima di tutto con l’intenzione di rivestire tale ruolo. Il legame biologico, come elemento esterno, non può essere il motore di questo progetto ma deve nascere dall’intenzione, dal desiderio di volerlo essere. Il legame genetico non può fare tutto questo. L’intenzione, però, non è sufficiente a portare avanti questo progetto. Ci devono essere altri due ingredienti fondamentali: la relazione e la dedizione. La relazione come spazio di conoscenza reciproca e la dedizione come luogo in cui ci si prende cura, senza riserve, dell’essere umano che si è deciso di far nascere. Tuttavia, non per molti è facile arrivare alla scelta di essere genitori con questa consapevolezza. A volte molte persone sono portate a credere che l’essere genitori sia qualcosa che si determini da un elemento esterno, come può essere, appunto, il legame genetico. Questa mancanza di autodeterminazione può essere il segnale di una fragilità che rende faticoso legittimarsi nel ruolo genitoriale. In questi casi – aggiunge la Dr.ssa Berruti – è necessario far capire agli aspiranti genitori da fecondazione assistita, che l’infertilità è un evento incontrollabile per il quale non sono in alcun modo responsabili, anzi, per superarla devono soffermarsi, prendersi del tempo per assimilarla e accettarla. Solo così potranno porre le basi per un avvicinamento alla genitorialità senza sensi di colpa e senza compromettere il benessere familiare”.
Chi sono invece i figli da donazione? Alcune testimonianze..
“Negli anni passati, e in parte ancora oggi è così – continua l’esperto – non ci si poneva il problema di quello che avrebbero voluto i figli da donazione. Addirittura i primi medici, non avendo abbastanza conoscenze in tal senso, invitavano le coppie a non parlarne con nessuno. In questo protezionismo c’era l’idea di evitare un dolore, ma questa scelta nascondeva la presunzione di sapere cosa potesse essere meglio per i figli mentre nessuno, in qualunque tipo di genitorialità, può sapere cosa sia meglio fare per i propri figli. È però indubbio che il segreto su tale informazione può essere l’elemento che pone le basi di una genitorialità monca, in cui è la sfiducia a farla da padrone. Per questo motivo può essere molto utile analizzare i documenti della donor conception network un’associazione fondata nel 1993 in Gran Bretagna da cinque coppie che avevano concepito grazie a una donazione e che volevano creare una rete di sostegno reciproco per le altre famiglie che si trovavano nella stessa situazione. Grazie a questo ente si possono leggere le testimonianze dei figli concepiti in questo modo e avere a disposizione dei testi che approfondiscono l’argomento. In particolare Kate una ragazza nata da donazione di seme negli anni ’90 consiglia di dirlo presto, in maniera franca e senza porsi particolari problemi. Lei stessa ci dice che i suoi genitori hanno cominciato a parlarne quando aveva 4 anni e di non avere un particolare ricordo di quel momento, sa soltanto di averlo sempre saputo. Essere nata da donazione è qualcosa che la caratterizza, come lo sono gli occhi marroni. Secondo lei, crescere dei figli facendoli sentire a proprio agio con quello che sono rappresenta il primo passo per farli stare bene con se stessi. Una ragazza italiana nata da eterologa maschile negli anni ‘90 invita a dirlo subito perché: “le cose alla fine si scoprono. Sono informazioni che non possono essere nascoste ad un figlio. Da un punto di vista etico è qualcosa che va rivelato. Io non sono stata contenta di non averlo saputo prima. Per me è stato più difficile accettare che non me lo avessero detto prima, piuttosto che fossi nata da fecondazione eterologa”. Le opinioni degli esperti riguardo al dirlo sono chiare, come ha osservato nel 2005 la psicologa clinica Diane Ehrensaft: “negli ultimi vent’anni c’è stato un enorme cambiamento riguardo al parlare o meno della donazione: le tendenze sociali sono mutate e, parallelamente, anche gli esperti hanno dovuto cambiare radicalmente parere riguardo all’opportunità di dirlo. Vent’anni fa si pensava che questa rivelazione sarebbe stata traumatica per il bambino, umiliante per il genitore e pericolosa per il legame tra genitori e figli. Oggi invece si ritiene che non dire a un bambino la verità sulla sua origine sia una violazione dei suoi diritti, una negazione della realtà e una minaccia all’integrità della famiglia.”
L’importanza del supporto psicologico
“Avendo posto uno sguardo ai genitori e figli da donazione è quindi evidente l’importanza del supporto psicologico per aiutare i genitori e i figli a costruire una identità equilibrata, conclude la psicoterapeuta. Per i genitori, infatti, costruire una identità genitoriale forte significa essere capaci di prendersi tale ruolo senza doversi appellare ad elementi esterni come quello del legame biologico. Dimostra che si è scelto di amare il proprio figlio, piuttosto che doverlo amare in nome della genetica. Significa accettare la diversità delle origini del proprio figlio senza sentirsene minacciati. Per i figli, significa essere accolti in un ambiente affettivo dove sarà possibile essere accettati per qualunque reazione si potrebbe avere in merito alla narrazione delle proprie origini. Alla fine – sottolinea la Dr.ssa Berruti – si può dire che la fecondazione assistita con donazione di gameti pone la coppia di fronte alle stesse sfide che affronta anche chi decide di avere figli naturalmente, ma le resistenze che si presentano in chi deve rinunciare al legame genetico possono rappresentare una grande opportunità di consapevolezza personale che non si manifesta così chiaramente in chi riesce ad avere figli naturalmente. In tal senso tale tipo di tecnica è un dono nel dono e il regalo più grande che potremo fare ai figli che nascono in questo modo, è quello di amarli incondizionatamente per quello che sono e per la diversità che portano. Ma non dovrebbe essere questo il modo in cui chiunque dovrebbe venire al mondo?
Bibliografia
• Berruti V., Carlini K. , Greco Alessia. “Infertilità due punto zero. Il concepimento difficile: dal generale al particolare” Libellula Edizioni (2019)
• Montuschi O. “Telling and talking. Telling and talking about Donor conception with 0-7 years old . A guide for parents”. Donor Conception Network (2006)
Sitografia
• https://www.dcnetwork.org/story/kate-donor-conceived-adult